Descrizione
Lo Moleno d’acqua del Ponte è un posto magnifico. Lungo il fiume Cervaro, nel cuore dei Monti Dauni, c’è un luogo magico che dal 1500 accoglie i viandanti, produce farina buona, semina sorrisi. E’ un luogo magico ed una storia fatta di lavoro, di passione, di recupero della tradizione, della terra, del vivere sano e sostenibile.
“Lo Moleno d’acqua del Ponte” (dal nome riportato nelle piante e nei documenti d’epoca) è sulla sponda destra del Cervaro. La sua presenza viene attestata sin dal secolo XVI. Importante fonte di sostentamento, era in grado di sfruttare la corrente del Cervaro, debitamente convogliata, per la macinazione del grano a scopo alimentare, sia umano che animale (com’è testimoniato dalla presenza di due distinte macine). Appartenuto in origine ai vescovi di Bovino, successivamente finì tra le proprietà del notaio Domenico Caneva, che lo tenne fino al 1916, quando venne acquistato da Luigi Grasso, appena tornato dalle Americhe con il risultato del suo lavoro oltreoceano. Dai tempi di Plinio, l’arteria di collegamento tra Napoli e la Puglia era la Strada Regia delle Puglie, che si snodava lungo un tracciato di oltre 430 chilometri. I viaggiatori soggiornavano in osterie, taverne e stazioni di posta, luoghi dove si cambiavano i cavalli. Come l’imponente Posta del Ponte. Sulla sponda opposta alla Posta con la sua monumentale Fontana Borbonica, c’è appunto il Molino ad acqua. Nel giardino accanto al mulino a ottobre si cominciano a raccogliere i frutti del vecchio noce, “ricchi di omega 3 per la gioia del cuore”, e i melograni, frutto simbolo della fertilità e protettore dell’apparato vascolare, con i quali si preparano piatti speciali per quella che oggi americanizziamo con halloween ma che è una festa di ogni dove e di ogni tempo. I mestieri che si raccontano al mulino sono tanti. Moltissimi legati al grano, oltre a tanti gli altri. Le macine del Molino erano in quarzite, una pietra dura. Permetteva ai meno abbienti di accedere ad un servizio prima di allora appannaggio dei più abbienti e di macinare il loro grano duro. Al mulino si conservano anche le antiche pale in legno, pur distrutte dall’ uso e dalle piene e già sostituite con pale di metallo che sono ignifughe, durevoli ed ecologiche. La tecnologia è un reticolo di equilibri fra materiali e soluzioni costruttive. Al molino ci sono attrezzi della civiltà rurale. E c’è un interruttore degli anni trenta, più in dettaglio, un sezionatore ad aria che serviva per interrompere, o ripristinare l’alimentazione elettrica.
“Lo Moleno d’acqua del Ponte” (dal nome riportato nelle piante e nei documenti d’epoca) è sulla sponda destra del Cervaro. La sua presenza viene attestata sin dal secolo XVI. Importante fonte di sostentamento, era in grado di sfruttare la corrente del Cervaro, debitamente convogliata, per la macinazione del grano a scopo alimentare, sia umano che animale (com’è testimoniato dalla presenza di due distinte macine). Appartenuto in origine ai vescovi di Bovino, successivamente finì tra le proprietà del notaio Domenico Caneva, che lo tenne fino al 1916, quando venne acquistato da Luigi Grasso, appena tornato dalle Americhe con il risultato del suo lavoro oltreoceano. Dai tempi di Plinio, l’arteria di collegamento tra Napoli e la Puglia era la Strada Regia delle Puglie, che si snodava lungo un tracciato di oltre 430 chilometri. I viaggiatori soggiornavano in osterie, taverne e stazioni di posta, luoghi dove si cambiavano i cavalli. Come l’imponente Posta del Ponte. Sulla sponda opposta alla Posta con la sua monumentale Fontana Borbonica, c’è appunto il Molino ad acqua. Nel giardino accanto al mulino a ottobre si cominciano a raccogliere i frutti del vecchio noce, “ricchi di omega 3 per la gioia del cuore”, e i melograni, frutto simbolo della fertilità e protettore dell’apparato vascolare, con i quali si preparano piatti speciali per quella che oggi americanizziamo con halloween ma che è una festa di ogni dove e di ogni tempo. I mestieri che si raccontano al mulino sono tanti. Moltissimi legati al grano, oltre a tanti gli altri. Le macine del Molino erano in quarzite, una pietra dura. Permetteva ai meno abbienti di accedere ad un servizio prima di allora appannaggio dei più abbienti e di macinare il loro grano duro. Al mulino si conservano anche le antiche pale in legno, pur distrutte dall’ uso e dalle piene e già sostituite con pale di metallo che sono ignifughe, durevoli ed ecologiche. La tecnologia è un reticolo di equilibri fra materiali e soluzioni costruttive. Al molino ci sono attrezzi della civiltà rurale. E c’è un interruttore degli anni trenta, più in dettaglio, un sezionatore ad aria che serviva per interrompere, o ripristinare l’alimentazione elettrica.
Un’attenta e appassionata opera di ripristino, compiuta dalla famiglia Grasso, oggi proprietaria del bene, con materiali, elementi e tecniche originali, ha permesso il recupero pressoché integrale della struttura, finalizzato alla valorizzazione e fruizione della stessa, con la realizzazione di un “itinerario museale”, aperto ai turisti e soprattutto alle scolaresche, come progetto di laboratorio didattico e dimostrativo.
Oggi l’antico e particolare mulino, ancora efficiente, è diventato infatti un “piccolo museo” in cui sono in mostra attrezzi, macchine, utensili, arnesi (mola ad acqua manuale, macine, mortelle, bascula di legno ecc.) che ricreano il fascino e l’incanto della loro originaria funzione e introducono i visitatori nei segreti e nelle suggestioni del luogo, del processo produttivo e delle tecniche di lavorazione di antiche varietà di grano come marzellina (marzuola), bianchetta (bolero), “strambèll” (Senatore Cappelli), risciola.
Oggi l’antico e particolare mulino, ancora efficiente, è diventato infatti un “piccolo museo” in cui sono in mostra attrezzi, macchine, utensili, arnesi (mola ad acqua manuale, macine, mortelle, bascula di legno ecc.) che ricreano il fascino e l’incanto della loro originaria funzione e introducono i visitatori nei segreti e nelle suggestioni del luogo, del processo produttivo e delle tecniche di lavorazione di antiche varietà di grano come marzellina (marzuola), bianchetta (bolero), “strambèll” (Senatore Cappelli), risciola.